La valle del Bagnoro ha restituito testimonianze archeologiche che attestano, fin dall'antichità, una sua indiscussa frequentazione, non soltanto a carattere insediativo quanto a carattere sacro rituale; frequentazione, quindi, da ricondurre alle peculiarità salutari delle acque della valle stessa.
Insediamenti e ville sorgono nelle zone più fertili, ricche di acqua e nelle vicinanze dei principali tracciati viari.
Indizi dell'esistenza di agglomerati abitativi ci sono in gran parte offerti dai rinvenimenti sepolcrali che risultano disseminati più o meno in tutta la valle con particolare concentrazione lungo la via delle pietre che ricalca un antico tracciato viario studiato da G.F.Gamurrini, uno dei più illustri archeologi e studiosi italiani dell'800, al quale si devono significativi dati storico-archeologici sul Bagnoro.
G.F.Gamurrini nel 1892 scriveva: "
DALLA PORTA ETRUSCA SOPRA IL CANTO DEI PESCIONI SI PARTIVA UNA DIRITTA VIA, CHE ORA SI CHIAMA DI FONTANELLA, E PASSATO UN PONTE SUL FIUME CASTRO"-ora non più visibile perchè incanalato sotto la città-"SI DIRIGEVA A MEZZOGIORNO VERSO LA VALLE DEL BAGNORO. PASSATO IL CASTRO SI INCONTRA PALAZZUOLO E DI LI' SI TRAVERSA UN PONTICELLO[...] LI' PRESSO LA VIA BIFORCAVA SE PUR NON FACEVA UN TRIVIO: QUELLA A SINISTRA CONDUCEVA ALLA CIMA DEL COLLE DI CASTELSECCO L'ALTRA PROSEGUIVA DIRITTA AL BALNEUM AUREUM "[...].
La valle veniva percorsa sia per entrare in Valdichiana verso nord, sia per raggiungere la Valtiberina.
Inoltre il torrente Vingone doveva verosimilmente costituire un percorso fluviale in comunicazione con il Clanis (Canale Maestro della Chiana).
I resti archeologici sono frequenti soprattutto sulle alture in quanto il fondovalle ha subito nei secoli, a causa delle alluvioni, un forte rialzo nel terreno (un esempio evidente è la chiesa di Sant'Eugenia al Bagnoro) che ha sepolto tutte le testimonianze di vita etrusca, romana e altomedievale.
- LA COLLINA DI CASTELSECCO -
La collina di Castelsecco o di San Cornelio è facilmente raggiungibile anche in macchina, sia attraverso Stoppedarca, sia mediante la strada dei due mari, voltando a sinistra prima di giungere al Torrino; su questa cima si trova un’importante zona archeologica, esplorata solo parzialmente. Tra gli studiosi aretini, del passato e del presente, non vi è stata questione più dibattuta di quella riguardante l’ arce di Castelsecco, circondata da un’ imponente muraglia di andamento ellittico e munita di contrafforti, interamente realizzata con blocchi di macigno.
La tesi più plausibile è che il complesso non può risalire ad oltre il III secolo a. C. ( i reperti archeologici più antichi qui ritrovati appartengono a questo periodo), ed è da prendere in considerazione la destinazione sacra delle costruzioni del sito ( sono stati rinvenuti un alto numero di ex-voto, specialmente immagini di lattanti o bambini in fasce). La conferma di quest’ ipotesi ci è venuta dalla campagna di scavo nel 1969 sulla parte sud dell’ arce, eseguita a cura della Soprintendenza alle Antichità d’ Etruria che portò alla scoperta di un piccolo teatro giudicato degli inizi del I secolo a.C. . La stessa datazione è stata data anche al muraglione circondante l’ arce, perché le strutture del teatro risultano strettamente collegate col muraglione. Non si sa ancora di preciso con quale tempio e divinità era collegato il teatro di Castelsecco, le ipotesi anche in questo caso sono molte.
Caduto il paganesimo, a partire dal secolo VI, gli ambienti sacri di S. Cornelio diventano fortezza militare nella guerra contro i longobardi. Nell’ alto medioevo e nel medioevo l’altura risulta assai abitata. Più tardi cade in rovina.
- PIEVE DI SANT'EUGENIA AL BAGNORO -
La chiesa del Bagnoro è dedicata a Sant'Eugenia, martirizzata a Roma nel III sec. e la cui fama si era già diffusa, attorno al sec.V in una larga fascia peninsulare da RAVENNA a NAPOLI. Questo dato ci è sufficiente per formulare un'ipotesi, secondo la quale la chiesa è stata fondata intorno a tale epoca. A sostenere ciò è il fatto che l'evangelizzazione delle campagne nella Diocesi aretina è avvenuta in un arco di tempo compreso tra il IV e il VI sec. Di questo edificio, precedente alla grande chiesa altomedievale, sono conservate molte testimonianze emerse dagli scavi eseguiti a cominciare da 1968. Sono stati infatti recuperati nell'area e tra le murature della chiesa frammenti di elementi decorativi riconducibili al periodo Paleocristiano e resti di murature che componevano un edificio d'incerta funzione, leggermente ruotato rispetto a quello attuale. La Pieve, inoltre, sorge in una zona pianeggiante particolarmente soggetta ad alluvioni, si ritiene quindi che la scelta di tale sito sia avvenuta quando le acque erano ancora regimentate a protezione delle non lontane terme, in un epoca non troppo lontana da quella classica. E' da notare che lungo la parete destra, ora sacrestia, sono stati trovati resti di canalizzazioni presumibilmente di epoca tardo-romana.
Gli scavi però non hanno permesso di capire se questi resti siano quelli del primo luogo di culto cristiano, anche se, le antiche pievi aretine esplorate finora (pieve di Socana, pievi di Gropina ecc.) si elevano dove esistevano edifici romani, templi o altro.
Durante l'alto medioevo, dove si trovava questo edificio romano o paleocristiano di incerta destinazione, venne costruita un'ampia chiesa riportata alla luce dai precedenti lavori. Si tratta di un'edificio di notevoli proporzioni, giunto a noi dopo l'intervento romanico del XII sec., che interessò soprattutto l'esterno, e mutilato da un crollo, avvenuto nel 500 che distrusse la facciata e le prime due campate.
La pianta della chiesa è basilicale, costruita cioè da un ambiente a tre navate, di cui la mediana è quella più elevata ed ha finestre proprie, ed un transetto non sporgente. Le campate in origine erano cinque (ora tre a causa del crollo); gli archi a sesto ribassato, poggiano su due colonne di marmo sormontate da capitelli corinzieschi di spoglio e su pilastri cilindrici in breccia di pietra sormontati da rozzi capitelli in arenaria. Le murature che si elevano sopra questi archi sono irregolari e composte di pietre non lavorate.
Di fronte alla facciata originaria si trova una struttura muraria circolare di funzione incerta di cui la fondazione non è abbastanza profonda da costruire la base di un campanile, potrebbe trattarsi di un battistero.
La chiesa altomedievale è databile al VII sec. anche se esistono pareri contrastanti.
Sul finire dell' alto medioevo comincia anche per la Pieve del Bagnoro la documentazione scritta. Alla seconda metà del XII secolo, quando le pievi stavano entrando in crisi e l'architettura romanica aveva raggiunto il suo apogeo, è forse possibile far risalire la "ristrutturazione" romanica, che si rivolse soprattutto alla parte esterna: abside, mura perimetrali dei fianchi e probabilmente anche alla facciata. Sempre in questo periodo, prima però del 1217 (anno in cui la chiesa fu probabilmente consacrata dopo la "ristrutturazione"), venne costruito il nuovo fonte battesimale nella prima campata della navata di sinistra, di cui ci sono rimasti solo i gradini ottagonali di accesso (probabilmente, in questa fase, il battistero esterno era già in rovina o fatiscente e fu quindi distrutto), vennero messi in opera due o tre gradini per discendere o risalire il dislivello venutosi a formare tra il piano di campagna, rialzatosi, e quello di calpestio della chiesa, e fatto forse qualche intervento romanico sulla facciata stessa e nell'interno.
Nel corso del Quattrocento venne edificato il campanile e le pareti della Pieve vennero ornate con affreschi che si conservarono almeno fino al Settecento. In seguito tali pitture andarono perdute e di esse ci resta solo quella raffigurante la "Madonna col bambino", staccata nel 1872 e collocata ultimamente nella parte nord del transetto. Di quest'epoca è anche il bassorilievo in pietra della "Madonna col bambino tra S. Eugenia e S. Lorenzo" che conserva ancora tracce della primitiva policromia ed appare di buona mano; era collocato sull' altare del transetto di destra e nel 1923 fu posto nella lunetta della porta.
Dal '500 all' 800 ci fu un susseguirsi di alluvioni, interramenti, crolli e riduzioni dell'edificio in tutte le sue dimensioni (tra cui il tamponamento di tutti gli archi di separazione tra la navata centrale e quelle laterali) deturpando gravemente la chiesa, che assunse presumibilmente le ridotte dimensioni possedute prima degli ultimi lavori di restauro effettuati tra il 1968 ed il 1981, a cura della soprintendenza aretina, ma che hanno lasciato intatte le antiche strutture di essa.
- CHIESA DI S. MICHELE ARCANGELO -
Prendendo, sulla destra della Pieve di S. Eugenia, una stradetta campestre che porta al Colle e alla villa Gamurrini, dopo circa 150 metri si vede sulla sinistra un campo detto di S. Andrea, mai coltivato dagli agricoltori in segno di rispetto, nel quale il Gamurrini, vi fece fare uno scavo e trovò i resti di una chiesa che egli considerò antichissima. Di tale edificio lasciò un disegno in pianta che riproduce un ambiente quadrangolare (mis. m 11x 12 x 6 x 7). Questo fu costruito in epoca paleocristiana sui resti delle rovine romane e fu dedicato a S. Arcangelo vincitore del demonio, secondo la allora consueta credenza che il malefico dimorasse ove vi erano rovine del paganesimo. Per questo motivo in epoca tardo romana, paleocristiana e longobarda molte chiese vennero dedicate in Italia a S. Michele Arcangelo, spesso sorte vicine a sorgenti, corsi d’ acqua o saccelli consacrati al culto delle acque.
Il primo documento riguardante questo edificio di culto è del 1026, altri dati invece provengono dalla Decima del 1302-1303 e quella del 1391. In tutti è indicata come chiesa dipendente dalla Pieve di S. Eugenia. Nel Quattrocento è di patronato dei Testi e viene data in beneficio. Il consiglio comunale del 25 agosto 1416 dà notizia che erano stati riadattati i bagni dell’ acqua sgorgante presso la chiesa di S. Arcangelo perché quest’acqua produceva guarigioni straordinarie. Nel 1573 la chiesetta è talmente mal ridotta e viene prima interdetta, e più tardi abbattuta. Di essa sono rimaste solo le rovine, un cospicuo cumulo coperto di rovi e roseti selvatici, che a partire dal 1985 fino al 1998 è stato oggetto di una ripulitura e di un saggio di scavo sotto la direzione della Prof.ssa Elisabetta De Minicis, docente di Archeologia Medievale presso l’ Università degli studi di Siena con sede ad Arezzo.