Nella seconda metà del 1700 si registrano numerosi terremoti un po’ ovunque: in Spagna, in Persia, ecc. ed anche in Italia.
Il 3 giugno 1781 un tremendo terremoto devasta diversi paesi delle Marche, dell’Umbria, della Romagna e della Toscana, provocando centinaia di vittime; nel 1783 un altro terremoto colpisce Messina.
È spiegabile pertanto l’atmosfera di paura e di terrore che si crea in Arezzo, ed in tutta la Toscana, quando il 1° febbraio del 1796, in piena euforia per il carnevale, si avvertono le prime scosse che si ripetono con insistenza, anche se con intensità diversa, nei giorni successivi: dal 1° al 10 febbraio sono registrate oltre 30 scosse.
Inoltre, secondo la relazione dell’Abate Angelucci, si verificano altri fenomeni tellurici e terrestri: rombi paurosi, bagliori di fuoco nella notte, nubi minacciose, intorbidimento delle acque dell’Arno.
Tutto questo fa presagire gravi disastri e crea un tormentoso stato di paura.1 Gli Aretini, riconoscendo nel terremoto un giusto castigo di Dio per i loro peccati, ed un amoroso richiamo ad una vita migliore, indicono processioni penitenziali con le reliquie dei Santi Patroni della Città, affollano le Chiese ed i Confessionali e, pieni di fede e di speranza, iniziando la Quaresima, intensificano penitenze e digiuni.
Presso la Porta di S. Clemente esisteva un Ospizio dei Padri Camaldolesi, detto Ospizio della Grancia, una specie di fattoria di Camaldoli, dove, in una cantina, i Padri facevano vendere il vino al minuto per favorire i meno facoltosi.
In quella cantina vi era pure un fornello sul quale si accendeva il fuoco in tempo di vendemmia e in certe giornate invernali per scaldarsi e per cuocere qualcosa.
È facile immaginare quanto fossero anneriti dal fumo i muri ed il soffitto! Quasi perpendicolarmente sopra il fornello era murato un quadretto di terracotta invetriata, rappresentante la Madonna a mezzo busto, con la scritta in basso “Sancta Maria, ora pro nobis”.
L’Immagine era tutta annerita dal fumo, dalla polvere, dai vapori umidi del focolare e dal sudicio lasciatovi dagli insetti; contribuiva ad accrescere il fumo una piccola lampada ad olio, posta sulla mensola sottostante, che ogni sera veniva devotamente accesa.
L’Immagine raffigurava la Madonna di Provenzano, di origine senese, così chiamata perché collocata da S. Caterina Benincasa sul muro di una casupola sorta sui resti del castello dell’eroe Provenzano Salvani, signore di Siena, morto nella battaglia di Colle Val d’Elsa (11 giugno 1269) e ricordato con lode da Dante nel Purgatorio (Purg. XI, 121-138).
Era una Pietà, la Madonna con in grembo Gesù deposto dalla croce. Nel 1552, durante l’occupazione spagnola di Siena, un soldataccio colpì la terracotta con un’archibugiata: rimase intatta solo la parte superiore della Madonna, il busto ed il viso.
La devozione per quei poveri resti fu immensa; immagini policrome di essa si diffusero ovunque ed una giunse anche nell’Ospizio di Arezzo.
Il 15 febbraio del 1796, lunedì dopo la prima Domenica di Quaresima, alle tre del mattino, una nuova scossa di terremoto riaccende la paura, tanto che da ogni parte della città si fanno tristi presagi, quasi sia imminente la distruzione di Arezzo.
Sull’imbrunire, tre artigiani, certi Antonio Tanti, Giuseppe Brandini e Antonio Scarpini, si trovano nella cantina dell’Ospizio per comprare vino, e, davanti a quella Immagine annerita, conversano sui dolorosi fatti del giorno e dei tristi presagi per l’avvenire.
Ad un tratto il Tanti esce in questa esclamazione: “Santissima Vergine, questa vorrà essere una brutta nottata!”.
E lo Scarpini continua: “Santissima Vergine, tante volte vi avrò bestemmiato, vi avremo bestemmiato tutti. Vi chiediamo perdono per amor di Dio”.
Allora Domitilla, la cantiniera, li esorta alla preghiera ed alla fiducia nella Madonna. Mentre si dispongono a pregare, il Tanti dice: “Voglio accendere il lume alla Gran Madre di Dio. L’ho acceso altre sere, lo voglio accendere anche questa sera”.
Acceso il lume e postolo sotto l’Immagine della Madonna, tutti in ginocchio iniziano la recita delle Litanie. Ad un tratto, alle prime invocazioni, uno di essi alza lo sguardo e nota che l’Immagine sta cambiando colore: dal giallo-nero da cui era ricoperta, diventa bianca e lucente. Sorpreso e commosso grida: “Guardate, guardate, la Madonna cambia colore!”.
Tutti fissano gli sguardi sull’Immagine, si alzano in piedi e constatano con stupore che la Madonna è diventata bianca come la neve, e lucente come se sul petto avesse rubini e diamanti. Tolgono il lume dalla mensola per accertarsi che non si tratti del suo riflesso, ma constatano che l’Immagine è realmente candida e lucente. Da quel momento le scosse del terremoto non si avvertono più. Profondamente commossi, piangono di riconoscenza verso la Madonna che ha voluto confortare tutti gli abitanti di Arezzo liberandoli dal flagello del terremoto.
La notizia si diffonde in un baleno, ed una folla immensa si riversa all’Ospizio, desiderosa di vedere, di sapere, di toccare; tutti piangono, tutti pregano, e le vie della città riecheggiano non più di lamenti e di grida di paura, ma di canti di lode e di ringraziamento.
Il vescovo, Mons. Niccolò Marcacci, dopo un primo momento di prudente incertezza, spinto da interno impulso, viene, accompagnato da alcuni canonici, all’Ospizio della Grancia a constatare il prodigio, dispone che l’Immagine sia portata solennemente nella Cattedrale della Città, ed istituisce un regolare processo canonico per accertare ogni verità sul fatto avvenuto.
Inizia subito un movimento incessante di popolo verso la Cattedrale che, pur ampia, spesso si rivela insufficiente ad accogliere tanti fedeli che ringraziano ed invocano la Madonna. Quella sera stessa, in segno di contentezza e di gratitudine, viene improvvisata una grande luminaria di tutta la Città.
Ben presto però un terremoto di altro genere sconvolge Arezzo e richiede nuovamente l’intervento della Madonna del Conforto. Ai primi di Aprile di quello stesso anno, l’esercito francese, guidato dal capitano Lauvergne, dopo aver imposto alle città dell’Italia del nord i principi rivoluzionari contrari alla Religione ed alla Chiesa, occupa Arezzo.
La mattina del 6 Maggio tutta la Città di Arezzo insorge al grido di “Viva Maria!”: viene abbattuto l’albero della libertà, ed al suo posto è innalzata una grande croce, sono liberati i prigionieri, arrestati i giacobini, la città si adorna di bandiere toscane, pontificie ed austriache, mentre le campane suonano a martello per invitare tutti alla controrivoluzione.
I Francesi tentano una formale resistenza, ma dopo un breve scambio di fucilate, che procurano due morti e numerosi feriti, abbandonano velocemente la città.
Dopo una cerimonia ed una solenne processione di ringraziamento, si costituisce un vero esercito, che giungerà a contare circa 38.000 uomini e porterà soccorso alle tante città che, l’una dopo l’altra, insorgeranno contro i Francesi, in difesa dei principi cristiani. Le bandiere e le scritte inneggiano alla Vergine del Conforto, proclamata ufficialmente “Generalissima dell’Armata”.
Don Mario Morra
Quartiere di Porta Crucifera P.I. 92057120518
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FOTOGRAFIE
Alberto Santini e Maurizio Sbragi
collaborazione fotografica di Fotozoom: Giovanni Folli - Claudio Paravani - Lorenzo Sestini - Fabrizio Casalini - Marco Rossi - Acciari Roberto