La chiesa del Quartiere è S. Croce.
Viene menzionata per la prima volta nel 1081 all’interno di una zona archeologica di grande importanza, etrusca e romana.
La chiesa venne costruita in conseguenza del forte sviluppo urbano che dette vita ad un popoloso quartiere extra moenia a partire dal X secolo.
Successivamente divenne chiesa di un vicino convento di benedettine, raso al suolo nel 1547 a causa del nuovo sistema fortificato che si andava realizzando nella zona. La chiesa non venne distrutta ma i restauri susseguenti e un bombardamento della ultima guerra mondiale che distrusse la chiesa hanno lasciato intatto solamente l’abside.
La chiesa presenta un interno di particolare fascino: semplicissimo ispira raccoglimento e silenzio. Rara caratteristica sono i vasi di terracotta inseriti nell’abside, e quindi originali, inseriti per migliorare la risonanza dell’edificio. Segno visibile della cura per il suono nella città dove visse il Grande Guido d’Arezzo!
L’esterno della chiesa si è conservato nelle sue strutture originarie del XII secolo soltanto l’abside che è la parte più suggestiva dell’edificio, è semicircolare, secondo il Salmi, si deve ad una tarda risonanza di modi ravennati. Costruita in pietre conce e squadrate, la tribuna ha nel suo centro una piccola monofora ed è coronata da una serie di archetti semicircolari pensili, aggettati su mensole. Sopra gli archetti corre una decorazione in cotto a zig-zag, da riferirsi ad un influsso bizantino-ravennate.
La facciata è stata interamente ricostruita secondo i suggerimenti ricavati dalla zona rimasta interrata. Ecco cosa scrive U.Lumini: “ Un metro e venti al di sotto del piantito della chiesa rialzato nei secoli, è stato trovato l’impianto originario, soprattutto nella zona del presbiterio, dove rimangono i larghi avanzi di smalto in mattone pesto, quadrelli in pietra e pozzolana, che da all’impasto maggiore durezza. Questo ha permesso di riportare l’altezza della chiesa alle proporzioni originali, di risolvere tanti problemi, ma specialmente quello della facciata, essendosi ritrovata quella originale per un metro d’altezza: con due lesene agli angoli aggettati di 10 cm. Su di un fondo in pietrame squadrato e pulito come il perimetro dell’abside; le lesene in grossi blocchi in pietra concia aggettano su un muro di pietre irregolari, disposte a filetto, intramezzate da sassi murati a madonna, simili agli stipiti della porticina laterale. Come là un pezzo di travertino raccogliticcio, come là la malta è pozzolana pura.
Intorno alla porta laterale di sinistra sopra l’architrave monolito. Gli stipiti più interni sono blocchi monoliti in pietra concia”.
Il campanile è stato ricostruito a vela come senza dubbio doveva essere quello originario, dopo che il bombardamento aveva distrutto quello a torre risalente a tempi abbastanza recenti. La consunta colonnina abbinata che si vede all’interno lungo la parete sinistra è originaria dell’antico e originario campanile a vela.
La cosa senza dubbio più interessante della chiesa di S. Croce sono le tracce si due cappelle laterali absidale, scomparse a causa di un’ apertura di una strada pubblica, e pera la demolizione del monastero a destra. Queste cappelle alludevano ad una caratteristica d’oltralpe soprattutto germanica, elemento che si spiega appunto con il fatto che S. Croce era un edificio monastico.
La prima chiesa sembra essere stata a pianta rettangolare e abside, forse con una piccola cripta semicircolare. Verso la fine del XII secolo o ai primi del XIII venne rifatta l’abside ed aggiunte le cappelle laterali.
L’interno della chiesa semplicissimo e raccolto, ha un’altra rara caratteristica. Nel catino dell’abside sono stati rimessi in luce dei vasi di terracotta murati nello spessore del muro con la bocca rivolta verso l’interno della chiesa. Non furono murati per alleggerire la muratura, come talvolta si sente affermare, ma per assorbire il suono e migliorare la risonanza dell’edificio. Il basamento dell’altare maggiore è una grossa pietra rozzamente scolpita e qui portata dalla chiesa di S. Angelo di Capo Monte. Raffigura il sacrificio della Antica Alleanza (sacerdote che immola un agnello) e quello della Nuova Alleanza (pane e grappolo d’uva: Eucaristia).
Sulla facciata della chiesa è una bifora e non un occhio o una monofora. Perché? Non avendo alcun elemento per decidere si scelse la soluzione della bifora, basandosi sulla preferenza riscontrata in territorio aretino in chiesette romaniche duecentesche, che hanno la bifora in facciata: Per esempio le chiesette romaniche dette Badia sia a Loro Ciuffenna che a Castiglion Fiorentino.
Sebbene l’attuale chiesa del quartiere sia S. Croce giustamente è stato dato come Protettore S. Martino. L’antica chiesa di S. Martino venne abbattuta per isolare la fortezza medicea dalla città. Si trovava in cima alla odierna Piaggia di S. Martino ed era di patronato dei Brandaglia. E tanto legati erano a tale chiesa che i Brandaglia si dicevano di S. Martino. Il santo al quale era intitolata la chiesa, S. Martino, potrebbe ricondurre la chiesa al periodo franco. Infatti il santo di Tours era a loro molto caro.
Per l’antichità della chiesa e per lo stretto rapporto con la famiglia Brandaglia è giusto aver prescelto S. Martino come santo protettore
Martino nacque nel 316 o 317 nella provincia romana della Pannonia, l'odierna Ungheria. Il padre, militare, chiamò il figlio Martino, cioè piccolo Marte, in onore del dio della guerra. Ancora bambino Martino giunse coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in questa città fu allevato. Proprio a Pavia, Martino chiese di essere ammesso al catecumenato, ma, come ogni figlio di veterano aveva una carriera già trattata: l'esercito. A soli 15 anni fu obbligato al giuramento militare dal padre, irritato dalla ripugnanza del figlio per la professione delle armi e della sua inclinazione verso la vita del Monaco cristiano. Così Martino si preparò alla carriera delle armi e fu in breve promosso al grado di "circitor". Il compito delle "circitor" era la ronda di notte e l'ispezione dei posti di guardia. Durante una di queste ronde, Martino incontrò, nel cuore dell'inverno, un povero seminudo e, non avendo più denari, prese la spada, tagliò in due il proprio mantello e ne donò la metà al povero. La notte seguente egli vide in sogno Cristo, avvolto in quel mantello che gli sorrideva riconoscente.
Questo atto di carità probabilmente avvenne nel 338 mentre Martino era di guarnigione ad Amiens; nella Pasqua del 339 egli ricevette il battesimo.
Dopo il battesimo, Martino rimase nell'esercito per circa vent'anni durante i quali condusse una vita da vero cristiano e da buon camerata, dando comprensione a tutti. Infine a quarant'anni decise di mettere in esecuzione il progetto della sua giovinezza: lasciare le armi e farsi Monaco.
Dopo l'esonero dal servizio militare, Martino si recò a Poitiers, presso Ilario, suo amico, che era stato eletto vescovo. Egli aveva potuto conoscere il grande vescovo in una delle città dov'era stato di guarnigione e aveva concepito per lui un'ammirazione grandissima. Ilario lo accolse molto bene e lo ordinò esorcista, carica poco ambita, ma che avrebbe permesso al nuovo chierico di dedicarsi allo studio delle cose di Dio sotto la direzione di un incomparabile maestro.
Una notte però Martino sognò che doveva convertire i sui vecchi genitori; partì allora per la Pannonia e convertì sua madre, ma non ebbe successo presso il padre, pagano ostinato. In tutta la regione dominava l'arianesimo.
Per il suo coraggioso tentativo fu ingiuriato, dovette lasciare il paese. Si recò a Milano e poi in Liguria, nell'isola di Gallinara, infine tornò a Poitiers, dove Ilario lo accolse nuovamente con grande gioia, ed in questo periodo fu ordinato diacono e poi prete.
Ilario possedeva a poche miglia da Poitiers, una villa e permise a Martino di ritirarvisi: laggiù egli divenne Monaco, ben presto circondato da discepoli, evangelizzando coloro che abitavano nei dintorni. Sorse così il monastero di Ligugè, il più antico conosciuto d'Europa.
Martino visse a Ligugè dalla decina d'anni, fino a quando i cristiani di Tours furono chiamati a scegliere un nuovo vescovo.
Essi desideravano che Martino governasse la loro Chiesa e, per vincere la sua resistenza, ricorsero ad un sotterfugio.
Un certo "Rusticus" con il pretesto dalla malattia di una moglie, andò da Martino, supplicandolo di guarirla, e poiché il santo non poteva resistere ad un appello di carità si mise in cammino. Sulla strada un gruppo di cristiani gli tese un'imboscata, lo catturò e lo condusse sotto scorta in città.
Qui giunto, la popolazione lo chiamò vescovo. Eletto per acclamazione, Martino non poté sottrarsi e fu consacrato vescovo di Tour, sembra dal 4 luglio 371; il suo episcopato durò 26 anni.
Martino fù un vescovo attivo ed energico propagatore della fede. Tale era l'ardore della sua fede, così grande il suo disinteresse, che la passione della giustizia lo spinse a diventare missionario tra i pagani, protettore degli oppressi e, per la sua bontà, arbitro tra i fedeli, i funzionari imperiali e gli stessi imperatori.
Ma per evangelizzare occorrevano anche sacerdoti seriamente preparati: per questo Martino creò a Marmoutier, quello che potremmo chiamare il primo centro di formazione clericale dalla Gallia.
Da Marmoutier e da Tours l'attività del santo si irradiò in ogni direzione: per 26 anni, e fino alla morte, proseguì la sua opera di evangelizzazione con una mirabile giovinezza di spirito, lottando contro l'eresia ed il male e contro la miseria umana.
Un giorno, sul finire dall'autunno del 397, si recò nella parrocchia rurale di Condate, per mettere pace tra i chierici in lite tra loro. Al momento di ripartire per Tours, però, si sentì allo stremo delle forze e fu assalito dalla febbre: comprese che si avvicinava la sua ultima ora. Si fece distendere su di un cilicio e su di un letto di cenere, come era usanza degli asceti del tempo, e attese la morte in preghiera.
Morì l'8 novembre 397. Il suo corpo fu ricondotto, navigando sulla Loira, fino a Tours, le esequie ebbero luogo l'undici novembre fra un immenso concorso di popolo venuto d'ogni parte.
Tutti accompagnarono il vescovo fino al cimitero, dove fu deposto in una semplicissima tomba, come egli avrebbe desiderato, e dove ben presto sarebbe sorta una grande basilica.
Alla grande basilica sorta a Tours in onore di Martino fu annessa in epoca seguente a un monastero con grandi edifici destinati ai pellegrini e dove tutta la nobiltà franca e merolingia aveva uno dei propri figli; anche coloro che non vi restavano come monaci vi compivano gli studi.
Il corpo di San Martino fu spesso spostato: racchiuso in un cofano, o sotto un'altare, o sotto un ciborio, come si costumava all'epoca merolingia, per anni, durante le invasioni normanne, e fu conservato al sicuro; gli Ugolotti lo arsero il 25 maggio 1562.
Alcune reliquie però poterono essere salvate e sono tutt'ora venerate nell'attuale basilica di Tours. Un frammento è costodito a Ligugè, suo primo monastero.
La festa di San Martino si celebra l'undici novembre di ogni anno.
Quartiere di Porta Crucifera P.I. 92057120518
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FOTOGRAFIE
Alberto Santini e Maurizio Sbragi
collaborazione fotografica di Fotozoom: Giovanni Folli - Claudio Paravani - Lorenzo Sestini - Fabrizio Casalini - Marco Rossi - Acciari Roberto